Mitridate, Vienna, van Ghelen, 1728

 ATTO QUARTO
 
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 SCENA PRIMA
 
 OSTANE, poi ARISTIA
 
 OSTANE
 Spesso cerchiam ciò che ignorato è male
1060e poi saputo è peggio.
 Tanto fec’io che alfin sentor mi giunse
 che qui sia Aristia e di un suo certo amore
 confusamente ragionar intesi... (Aristia sopraviene, l’osserva in disparte)
 Guardisi ben da me.
 ARISTIA
                                         (Quel che là miro
1065parmi... Egli è desso, sì). Padre, che padre (Va a lui)
 te ognor chiamai, te dirò padre ognora;
 in qual tempo a me vieni?
 Forse al novello giorno,
 forse al finir di questo
1070non mi trovavi in vita.
 OSTANE
 Aristia.. Ahimè!... Che narri?...
 A sgridarti io venia. Già son tutt’altro.
 Il vicin tuo periglio
 vinti ha i giusti miei sdegni.
 ARISTIA
                                                      Oh! Mai da Roma,
1075mai da Ostane fuggita, oh! non mi fossi!
 OSTANE
 Né di quel tuo Farnace
 mai dato avessi orecchio a le lusinghe.
 ARISTIA
 Un casto amor non rinfacciarmi.
 OSTANE
                                                             Casto?
 ARISTIA
 Lo san gli dii di Roma, alor presenti
1080ai pudichi sponsali.
 OSTANE
 E perché a me tacerlo? A che furtiva?...
 ARISTIA
 Ben del commesso error soffro la pena.
 OSTANE
 Così a figlia succede
 che si regge a suo senno. Or donde il rischio?
 ARISTIA
1085Dal mio stesso imeneo.
 OSTANE
 Che sì, che il tuo Farnace è già pentito?
 ARISTIA
 Anzi troppo fedel. Le nozze ei sprezza
 di vergine real. Quindi nel padre
 minacce ed ire. Ambo ne siam l’oggetto.
1090Per lo sposo io sol temo,
 che di me poco calmi e poco spero.
 OSTANE
 Freno a pena le lagrime, i tuoi casi
 sì mi trafiggon l’alma.
 Chi sa che il ciel qui tratto
1095non m’abbia in tua salute.
 Tempo a perder non v’è.
 ARISTIA
                                               Dove, o buon padre?
 OSTANE
 Ove de’ tuoi sinor natali occulti
 squarciar si possa il velo; e se qual credo,
 nobil sangue sortisti, il re lo sappia
1100e propizio si renda e i casti affetti
 di Farnace e di Aristia ami e rispetti.
 
    Non dovrei... Fuggirmi, ingrata?
 Non dovrei... Lasciarmi in pianto?
 Non dovrei più amarti tanto
1105né di te più aver pietà.
 
    Ma son facile al perdono,
 quando intendo un sol sospiro
 o due lagrime rimiro
 di un’amabile beltà.
 
 SCENA II
 
 ARISTIA e APAMEA
 
 ARISTIA
1110Sola e mesta Apamea? Deh! Che mi rechi
 del prence? Ove il lasciasti?
 APAMEA
 Meco il compiangi, fra custodi e ceppi.
 ARISTIA
 O dio!
 APAMEA
               Seguirti a forza
 ei volle in Eraclea.
 ARISTIA
                                    Misero!
 APAMEA
                                                     A pena
1115posto il piè ne la reggia, io gli era al fianco,
 c’incontrammo nel re.
 ARISTIA
                                           Barbaro!
 APAMEA
                                                              Un guardo
 placido a lui girò, misto di un dolce
 sorriso.
 ARISTIA
                 Ingannator!
 APAMEA
                                         Parea tutt’altro
 da sé medesmo e gli apria già le braccia
1120per accoglierlo.
 ARISTIA
                               Iniquo!
 APAMEA
 Quando Gordio a lui venne e di sommesso
 gli susurrò a l’orecchio
 un non so che. Gli si agrottar le ciglia
 tutto ad un tratto; e volto a quei che intorno
1125stavangli sbigottiti
 più di Farnace istesso,
 ne comandò l’arresto.
 ARISTIA
 E ’l prence?
 APAMEA
                         La minore
 resistenza non fece e pose l’armi,
1130senz’altro dir, se non con un sospiro:
 «O Aristia, Aristia!»
 ARISTIA
                                        E volle dir ch’io sola
 a tal destino sconsigliata il trassi.
 Io son che l’ho perduto, io che l’ho ucciso.
 Son morta.
 APAMEA
                        Per Farnace
1135non disperiamo. Correrò a la madre.
 Pregherò. Piangerò. Per la mia stessa
 vita farò che tremi.
 Ella nel cor del re può molto, io tutto
 su quel di lei.
 ARISTIA
                            Mi torni
1140lo spirto in sen. Va’. Salva
 Farnace e a te lo salva. A me non deve
 sovrastar, se non morte.
 APAMEA
 Non pensar che più forte
 per lusinga in me possa esser la fede.
1145Viva Farnace. Altro Apamea non chiede.
 
    Viva il caro idolo mio;
 non conosco e non disio
 altro ben, se non ch’ei viva.
 
    Viva, sì, l’idolo amato,
1150benché voglia amore e fato
 ch’io l’adori e ne sia priva.
 
 SCENA III
 
 MITRIDATE e ARISTIA
 
 MITRIDATE
 Femmina, a me rispondi e che non t’esca
 dal labbro, avverti, né dal cor menzogna.
 ARISTIA
 Mentir non può chi nulla teme.
 MITRIDATE
                                                           In quale
1155terra nascesti?
 ARISTIA
                              Il mondo
 mi è patria. Altro non so.
 MITRIDATE
                                                Qual furo e donde
 i genitori tuoi?
 ARISTIA
                               Gli dii lo sanno.
 MITRIDATE
 De la loro bassezza
 il tuo silenzio è testimon.
 ARISTIA
                                                Bassezza
1160non fu mai nel mio core; e l’opre mie
 mai non mi rinfacciar viltà di sangue.
 MITRIDATE
 Opra invero gentile il darti in preda
 furtivamente al tuo amator!
 ARISTIA
                                                     Se sposo
 mio lo dirai, pregio è l’accusa e lode.
 MITRIDATE
1165Farnace sposo tuo?
 ARISTIA
                                      Sì, dai più sacri
 vincoli di onestade a me congiunto.
 MITRIDATE
 Che degna nuora a Mitridate! E come
 ti prese per Farnace il folle amore?
 ARISTIA
 Conobbi la sua fede;
1170vidi la sua virtù; mi amò, l’amai.
 MITRIDATE
 Quando ciò fu?
 ARISTIA
                               Quand’egli ostaggio in Roma
 era per Mitridate.
 MITRIDATE
 In Roma?.. Ah! Gordio il ver mi disse... In Roma?
 Farnace a me. (Alle guardie) Segrete
1175co’ miei nemici intelligenze ei passa.
 Romana sei.
 ARISTIA
                          Se ’l fossi,
 ne arrossirei? Schiava da’ miei prim’anni...
 MITRIDATE
 Sogni. Bugie. Farnace...
 
 SCENA IV
 
 FARNACE incatenato le mani e i suddetti
 
 MITRIDATE
 Son palesi le trame.
1180Non è amor, non Aristia
 che ti ritrae da l’ubbidirmi. È Roma.
 Roma, sì, ti ha sedotto. A lei tu servi
 contro di Mitridate. Io n’ho altri indici;
 e costei, cui le vene
1185empie sangue romano, è ’l pegno e ’l prezzo,
 per cui tradisci la tua gloria e ’l padre.
 FARNACE
 Qual ombra? Qual inganno?...
 MITRIDATE
 Taci. Già sai qual pena
 minaccian le mie leggi. Ottantamila
1190romane anime a Pluto in un sol giorno
 diede un sol mio comando. Io faccio a Roma
 la guerra, ovunque è Roma.
 La trovo in voi; né esenti
 andran dal comun fato
1195femmina così rea, figlio sì ingrato.
 
    Principierò dal vostro
 sangue a far guerra a Roma,
 anime scellerate.
 
    Tu donna vil, tu mostro
1200di fellonia, tu nuora?
 Tu erede a Mitridate?
 Miseri, v’ingannate.
 
 SCENA V
 
 FARNACE e ARISTIA
 
 ARISTIA
 Vedi se può fortuna
 far peggio in nostro danno.
 FARNACE
1205In questo non saremmo aspro destino,
 se tu...
 ARISTIA
                Risparmia affanni
 a chi è presso a morir.
 FARNACE
                                           Tanti fec’io
 sforzi in comun salvezza; e saran questi
 cagion de la tua morte e de la mia?
 ARISTIA
1210No, Farnace. In me sola
 finiranno tant’ire.
 Gl’interessi del regno,
 i riguardi del sangue,
 gli affetti d’Apamea, Ladice, tutti
1215parleranno per te. Vivrai. Tu ’l devi
 a tanti voti, al mio pur anche il devi.
 Né temer ch’io nud’ombra
 ti venga a rinfacciar mesta e sdegnosa
 altro amore, altra fede ed altra sposa.
 FARNACE
1220Oh! Se volesse mai rabbia di sorte
 dividerne per morte,
 non ad altro vivrei che a vendicarti.
 Correr farei di sangue
 i domestici lari;
1225confonderei più stragi in una; e d’ossa
 tronche ed informi un rogo sol farei;
 e a gittar poscia ne l’orribil fiamma,
 chiamando Aristia, anche me stesso andrei.
 
    Sì. Vorrei, mio solo amore,
1230vendicarti e poi morir.
 
 ARISTIA
 
    No. Mi fai già di dolore
 sol col dirlo, o dio! languir.
 
 SCENA VI
 
 APAMEA, poi GORDIO e i suddetti
 
 APAMEA
 Quando in più grato ufficio, (Correndo verso Farnace)
 man, ti adoprasti?
 ARISTIA, FARNACE
                                     Principessa...
 APAMEA
                                                                A terra,
1235giù da coteste braccia, (Levandogli e gittando poi la catena)
 piene d’alto valor, ceppi sì indegni.
 ARISTIA, FARNACE
 Apamea...
 APAMEA
                      Fate core. E prieghi e pianti
 han vinta la regina.
 ARISTIA
 Creder lo deggio? (Gordio si avanza tenendo in mano la spada di Farnace)
 FARNACE
                                    E ’l genitor feroce?...
 GORDIO
1240Guardie, partite. Anch’egli
 si è reso ai voti di Ladice e diemmi
 l’onor... (Vuol presentare a Farnace la spada e Apamea gliela leva di mano)
 APAMEA
                  No. A me l’onore
 di ripor questo ferro al nobil fianco. (La mette al fianco di Farnace)
 FARNACE
 Che fido amor!
 APAMEA
                               Ma sfortunato ancora.
 GORDIO
1245(Come mai? Non intendo). (A parte)
 APAMEA
                                                     E Aristia tace?
 ARISTIA
 Godo nel mio Farnace;
 ma non è, il so, sì facile a placarsi
 né il destin né Ladice
 per Aristia infelice.
 
 SCENA VII
 
 LADICE e i suddetti
 
 LADICE
1250Se infelice sinora
 fosti, lagnati, Aristia,
 di te, non di Ladice.
 Risparmiar tu potevi
 a me sdegni, a te rischi
1255e dirò ancora ad Apamea sospiri.
 Farnace era tuo sposo. Ei la tua fede
 aveva e tu la sua. Perché non dirlo?
 Né Tigrane avria chieste
 nozze per Apamea; né Mitridate,
1260in patto di amistà, le avria giurate.
 FARNACE
 S’ella tacque, o regina,
 se ne incolpi Farnace.
 ARISTIA
 E se un maggior delitto
 non pareami il silenzio, ancor nel seno
1265chiuso starebbe al mio dover l’arcano.
 APAMEA
 (Affetti miei, voi sospiraste invano).
 LADICE
 Principe, a te or mi volgo; e del paterno
 perdono in pegno e de l’assenso ancora,
 ch’ei presta a’ tuoi sponsali,
1270ecco il pronubo anello (Gli dà l’anello di Mitridate)
 che dal dito real, ben tu ’l ravvisi,
 si trasse ei stesso, onde tu ’l serbi e al lieto
 festeggiar di tue nozze
 a la dolce tua sposa il porga e ’l doni.
 ARISTIA
1275(Sì subite vicende?)
 FARNACE
 Donna real, quai posso?...
 LADICE
 Nulla a me, tutto al padre. Egli ti attende
 ai più teneri amplessi.
 FARNACE
                                            A lui mi affretto;
 e tu grata qui adempi il mio difetto. (Parte)
 GORDIO
1280(Mi rode ira e dispetto).
 
 SCENA VIIl
 
 LADICE, ARISTIA e APAMEA
 
 LADICE
 Contro necessità non val contrasto.
 Apamea, col tuo esempio
 mi acheto. Ad altro sposo
 penseremo per te; né questo giorno
1285illustreran, qual già sperai, le tede
 tue coniugali. A la felice Aristia
 serbata era tal sorte.
 ARISTIA
 Eh! Che ad Aristia ira è serbata e morte.
 LADICE
 Che? Temi ancor? Mi fai tal torto?...
 ARISTIA
                                                                    Il frutto
1290questo è de’ mali miei, che meglio appresi
 di apparenti lusinghe a non fidarmi.
 So la guerra con Roma,
 le speranze de l’Asia,
 i voti di Tigrane,
1295i patti, i giuramenti, i rei sospetti.
 Taccio Apamea, taccio la madre; impegni
 di amor, di regno, di natura e d’odio,
 tutti son contra me. Né vuoi ch’io tema?
 Regina, una sì credula speranza
1300de le miserie mie saria l’estrema.
 
    Sai quando in mar più teme
 il provvido nocchier?
 Quando più gonfia e freme
 senza alcun vento il mar.
 
1305   Sibilo alor non viene
 d’austro feroce e rio
 le vele a lacerar;
 
    ma un rauco mormorio
 move le basse arene
1310i flutti a intorbidar.
 
 SCENA IX
 
 LADICE, APAMEA e GORDIO
 
 APAMEA
 Possibile, o regina,
 che a te soffrisse il cor?...
 LADICE
                                                Figlia non vidi
 più di te attenta a rendersi infelice.
 APAMEA
 Il so; ma così vuole il mio destino. (Parte)
 LADICE
1315Povera figlia! Gordio,
 non hai voce, non moto.
 Sembri fuor di te stesso.
 GORDIO
 Com’esserlo non posso,
 sconsolato e deluso
1320in amore e in vendetta?
 LADICE
 Conviene anche a chi regna
 servire al tempo e accomodarsi ai casi.
 Molte, erte, oblique del regnar le vie
 sono; e di penetrarle è dato a pochi.
1325Volerne giudicar da l’apparenze
 tira spesso ad inganno.
 Né creder già che, per goder la sorte
 del mio regio favor, giugner tu debba
 primo a saper ciò che rivolgo in mente.
1330I grandi arcani appunto
 si tacciono ai più cari
 che i più facili sono a palesarli,
 non perché loro manchi
 il zelo di tacer; ma l’arte manca,
1335lasciandosi tradir, senza avvedersi,
 or da un mezzo sorriso, or da una tronca
 parola, or anche dal silenzio stesso.
 Metti l’alma in riposo; ed or che gli altri
 gravi affari compisti,
1340sovvengati di Ostane e a me lo guida.
 GORDIO
 Traccia ne tengo assai sicura e fida.
 LADICE
 
    Affetti ancor dolenti
 di madre e di regina,
 sarete alfin contenti?
1345Nol so; ma cauta adopro arte ed ingegno.
 
    Calmatevi; e vedrete
 per vie lontane e chete
 condurvi a lieto fine amore e sdegno.
 
 SCENA X
 
 GORDIO
 
 GORDIO
 Gran cose agita e volve
1350l’alma real. Dove a finire andranno,
 Gordio, si attenda. Oh! quante volte, oh! quante
 si vendica il privato
 con la man del regnante!
 
    Scocca da l’alto il fulmine;
1355ma in terra si formò.
 
    Furie sul trono avvampano;
 ma un basso cor pien d’astio
 le accese e le attizzò.
 
 Fine dell’atto quarto